Monteverdi – Lamento della Ninfa

Articolo inviato da Piero

Monteverdi – Lamento della Ninfa

Nel complesso della mirabile produzione madrigalistica di Claudio Monteverdi (1567-1643) si assiste a un’importante evoluzione tecnica e stilistica. Nei libri dal I al IV sono contenute composizioni polifoniche a 5 voci “a cappella” sulla scia del madrigale tardo cinquecentesco. Nel V e VI libro, a tale complesso viene sottoposto un fondamento strumentale (basso continuo) che consente una graduale emancipazione di parti solistiche. Nel VII e VIII, vengono presentati anche interi madrigali a 1 o 2 voci con vari strumenti che sostengono le parti vocali e concertano con loro. Il libro VIII, in particolare, edito a Venezia nel 1638 e dedicato all’imperatore Ferdinando IV, costituisce la summa di tutte le precedenti esperienze. Esso raccoglie madrigali per grandi e piccoli complessi, concertati con strumenti e brani “in genere rappresentativo”. La raccolta è suddivisa in due parti distinte: madrigali guerrieri e madrigali amorosi. Nella prima figura fra l’altro il celebre “Combattimento di Tancredi e Clorinda” su testo di Torquato Tasso.
Autentico gioiello della seconda parte è il “Lamento della Ninfa” su testo di Ottavio Rinuccini (ca.1614).
L’azione del madrigale si sviluppa in tre parti:
I – Non avea Febo ancora (TTB)
II – Amor, dicea (STTB)
III – Sì, tra sdegnosi pianti (TTB)
La prima parte presenta la Ninfa che all’alba lascia la sua dimora, vagando tra prati e fiori in preda a una grande inquietudine. Inizia poi il disperato lamento della fanciulla che piange il suo perduto amore. Un basso sul tetracordo discendente La-Sol-Fa-Mi che si ripete incessantemente, rappresenta la base ostinata per il canto che si dispiega con varietà di accenti e intenso pathos. Al contrasto fra questi due elementi, statico l’uno e dinamico l’altro, si aggiungono i continui interventi delle tre voci maschili che compiangono la fanciulla (Ah, miserella!) e partecipano al suo dolore. Si può intravvedere qui un’analogia col coro della tragedia antica. Gli ultimi versi fanno riferimento al nuovo amore di colui che l’ha tradita, amore che mai potrà offrirgli ciò che da lei ha ricevuto; un detto e non detto… “taci, che troppo il sai”. Poi le voci maschili concludono amaramente che l’amore è al tempo stesso fiamma e gelo. Le immagini musicali di Monteverdi sottolineano le più riposte sfumature del testo poetico anche con cromatismi e dissonanze non preparate. La musica, qui come altrove, è veramente serva della parola!
La partitura del madrigale è preceduta da un “Modo di rappresentare il presente canto”, nel quale il compositore fornisce indicazioni riguardanti la sua esecuzione. Egli dice che le tre voci maschili devono cantare con regolarità “al tempo della mano”, cioè a misura, mentre la Ninfa dovrà cantare “a tempo del animo”, cioè con la libertà che le detta l’urgenza dei suoi sentimenti.

Le Pont des Arts

Non havea Febo ancora
recato al mondo il dí,
ch’una donzella fuora
del proprio albergo uscí.
Sul pallidetto volto
scorgeasi il suo dolor,
spesso gli venia sciolto
un gran sospir dal cor.
Sí calpestando fiori
errava hor qua, hor là,
i suoi perduti amori
cosí piangendo va:

“Amor”, dicea, il ciel
mirando, il piè fermo,
“dove, dov’è la fè
ch’el traditor giurò?”

Miserella.

“Fa’ che ritorni il mio
amor com’ei pur fu,
o tu m’ancidi, ch’io
non mi tormenti più.”

Miserella, ah più no, no,
tanto gel soffrir non può.

“Non vo’ più ch’ei sospiri
se non lontan da me,
no, no che i martiri
più non darammi affè.

Perché di lui mi struggo,
tutt’orgoglioso sta,
che si, che si se’l fuggo
ancor mi pregherà?

Se ciglio ha più sereno
colei, che’l mio non è,
già non rinchiude in seno,
Amor, sí bella fè.

Ne mai sí dolci baci
da quella bocca havrai,
ne più soavi, ah taci,
taci, che troppo il sai.”

Sí tra sdegnosi pianti
spargea le voci al ciel;
cosí ne’ cori amanti
mesce amor fiamma, e gel.

 
 

Ecco una rappresentazione in chiave moderna e in certo senso provocatoria. La sfortunata fanciulla giace nel letto di una tetra clinica psichiatrica, profondamente scossa e disperata nel suo dolore. Gli infermieri che la circondano le praticano cure e la costringono poi in camicia di forza. Rimasta sola, il suo tormentato inconscio è preda di paurose visioni, finchè ella riesce a liberarsi e a fuggire. Un’immagine eccessiva per una pena d’amore? Può darsi, ma la resa scenica e musicale è di tutto rispetto.

Anna Prohaska, soprano – “Arcangelo” Jonathan Cohen, dir.

 

Piero

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